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10 Febbraio 2006

LESIONE DEL CREDITO O LESIONE DEL PROFITTO?
di Amedeo Nigra

Sommario: 1) Il quesito; 2) Il bene leso non è il credito; 3) Credito e beni futuri; 4) Beni futuri e diritto sui beni futuri; 5) Il diritto soggettivo sui beni futuri; 6) Conclusione; 7) Alcune conseguenze pratiche e teoriche.

1) Il quesito.
Le questioni giuridiche riconnesse al tema della “lesione del credito” hanno visto per molti anni e vedono tuttora un grande travaglio della dottrina e della giurisprudenza italiana. Il problema giuridico si può riassumere come segue. Premesso un atto lesivo portato nei confronti di una posizione soggettiva definita di “credito”, da parte di un terzo estraneo al rapporto giuridico obbligatorio, può il danneggiato agire per il risarcimento del danno nei confronti del terzo responsabile? (1).
La dottrina e la giurisprudenza hanno sempre intuito che al problema andava data risposta positiva. Il rigetto della domanda di risarcimento del danno avanzata dal danneggiato, urtava (ed urta) contro il più naturale senso di giustizia. Nello stesso tempo, peraltro, i giuristi dovevano fare i conti con un’impostazione rigorosamente scientifica del problema. Sotto questo profilo, infatti, vista la definizione della figura legale del credito, da un lato, e della responsabilità civile, dall’altro lato, la domanda di risarcimento del danno non poteva essere proposta nei confronti di un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio (2). Il credito, infatti, non spiega i suoi effetti se non nei confronti delle parti obbligate. La figura legale della responsabilità aquiliana, inoltre, non ammette il risarcimento del danno se non nei confronti di un diritto soggettivo di carattere assoluto (3).
Ciò premesso, agli studiosi ed ai pratici si poneva il dilemma seguente. Da un lato, si prospettava la possibilità di ammettere il risarcimento del danno portato dal terzo nei confronti del “credito”, ignorando o facendo eccezione alla figura legale del credito stesso e della responsabilità civile. Dall’altro lato, si prospettava invece l’ipotesi di modificare la costruzione scientifica della responsabilità civile, al fine di consentire il risarcimento del danno anche nei confronti della cosiddetta “lesione del credito”, eseguita ad opera di soggetti estranei al rapporto giuridico obbligatorio.
La dottrina e la giurisprudenza si sono progressivamente portate su questa seconda soluzione. Hanno cioè modificato l’originaria concezione della responsabilità civile, con l’intento di ammettere il risarcimento del danno di cui si è detto sopra. Le massime giurisprudenziali si sono ormai attestate sul principio per cui si ha illecito aquiliano nell’ipotesi in cui si leda un diritto soggettivo tanto di natura assoluta, quanto di natura relativa (4).
Questo sacrificio non è forse necessario. Il problema giuridico può infatti essere capovolto se solo si muta l’angolo visuale da cui lo si osserva. Infatti spostando l’attenzione dalla figura del credito, si possono formulare alcuni interessanti quesiti. In particolare la figura del credito è l’unica che viene in considerazione nell’ambito della fattispecie in esame? Non esistono altre entità giuridiche od altri rapporti o beni che coincidono con il credito senza identificarsi con esso? (5).
A questa domanda può essere data risposta affermativa. Accanto al credito si può infatti disegnare un diverso diritto che molto spesso si accompagna al credito stesso senza identificarsi con esso. Questa posizione soggettiva presenta aspetti originali ed interessanti dal punto di vista scientifico e può essere definita come “diritto soggettivo sui beni futuri” (6).
Esaminiamo nelle pagine che seguono la questione della “lesione del credito” alla luce della nuova figura soggettiva di cui si è detto, nel tentativo di dare un contributo alla soluzione del problema.

2) Il bene leso non è il credito.
La questione giuridica in esame è stata classificata dagli studiosi e dai pratici come “lesione del credito”. Preliminarmente si tratta di vedere quale sia l’esatto significato di questa definizione. Cosa si intende con l’espressione “lesione del credito”? Qual è il bene giuridico che subisce un’alterazione patrimoniale? Cosa si intende per “credito”? Ci si intende riferire all’aspetto formale e quindi al vincolo obbligatorio che fa capo al credito o, piuttosto, ci si intende riferire semplicemente al contenuto patrimoniale che si riconnette alla figura legale del credito stesso?
L’esame della dottrina e della giurisprudenza sull’argomento non consente di risolvere il quesito sopra formulato. Anzi, un attento esame delle varie fattispecie che vengono in considerazione, porta a concludere che nel caso di specie il bene leso sia diverso e solo parzialmente coincidente con il credito (7). Vediamo perché.
Iniziamo a trattare la questione partendo dalla materia dove la giurisprudenza ha fatto le prime e più ampie concessioni. Trattiamo quindi il tema del risarcimento del danno riconosciuto ai familiari in seguito alla scomparsa di un congiunto a causa di un fatto illecito di un terzo responsabile (8). La giurisprudenza ammette costantemente in questa materia il risarcimento del danno conseguente alla perdita degli alimenti che lo scomparso era solito prestare alla sua famiglia (9). Orbene, quali sono le motivazioni giuridiche adottate dai giudici in questa materia? Per quale motivo viene concesso il risarcimento del danno nel caso in esame?
Ed invero, la dottrina e la giurisprudenza riconducono il tema degli alimenti dati da un familiare ai suoi congiunti al più vasto tema del credito. Si sostiene infatti che la prestazione alimentare viene effettuata in base ad un’obbligazione sancita dagli articoli 433 e seguenti del codice civile (10).
Questa teoria presta però il fianco a non poche critiche. Ed invero, nell’ipotesi in cui lo scomparso non era solito fornire alcuna prestazione alimentare ai suoi familiari (per i più svariati motivi) vi è sì astrattamente una “lesione del credito” (perché con la scomparsa del soggetto obbligato viene a cadere anche il rapporto giuridico obbligatorio previsto dagli articoli 411 ss. C.c.), ma non si dà luogo ad alcun risarcimento. Lo stesso avviene qualora lo scomparso fosse una persona inabile, incapace o priva di mezzi di sussistenza. Anche in questa ipotesi, infatti, si è in presenza di un’estinzione della obbligazione alimentare che “astrattamente” (dato che il soggetto non è in grado di adempiere) esiste. Nondimeno non si dà luogo ad alcun risarcimento del danno.
La conclusione teorica, è dunque molto evidente. Se il credito può essere colpito e cioè cancellato ed estinto ad opera di un terzo, senza che il fatto possa dar luogo a risarcimento del danno,sembra inesatto parlare di “lesione del credito”. Il bene leso sarà un altro. Più precisamente sarà quel bene che viene effettivamente a cadere, cioè ad essere colpito, in tutte le ipotesi considerate (11).
Trascuriamo per un attimo di passare alla definizione del bene che viene effettivamente leso nella fattispecie che stiamo esaminando, per passare all’esame di una nuova categoria di fenomeni che vengono ricondotti nella cosiddetta lesione del credito. Trattiamo ora l’ipotesi della interruzione totale o parziale di un contratto sinallagmatico intercorrente tra due soggetti. Esemplificando, è questo il caso della morte del calciatore legato da un rapporto con una data società calcistica (12). E’ ugualmente il caso della interruzione totale o parziale di una data prestazione contrattuale (fornitura di beni o servizi, contratto di lavoro subordinato, etc.) (13), dovuta da un dato soggetto ad un altro. Tutti questi casi sono accomunati da un unico carattere e cioè, l’intervento di un fatto illecito posto in essere da un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio provoca una interruzione temporanea o definitiva del flusso delle prestazioni economico-patrimoniali che prende origine dal credito.
In queste ipotesi la giurisprudenza ha ammesso il risarcimento del danno subito dal soggetto leso, richiedendo inizialmente che si trattasse di prestazioni “insostituibili” (14). Ha poi richiesta che si trattasse di obbligazioni “difficilmente sostituibili” (15) o, comunque, di una “perdita patrimoniale” secca (16).
Anche in questo caso sembra inesatto parlare di “lesione del credito”. La stessa giurisprudenza che ammette un “distinguo” tra caso e caso riconosce questo stesso principio. In pratica ci possono essere “lesioni del credito” che non vengono risarcite (se la prestazione è sostituibile o se manca una perdita secca) e ci sono altre “lesioni del credito” che vengono risarcite (prestazioni insostituibili o difficilmente sostituibili, perdite secche) (17).
Anche in questo caso la conclusione è dunque evidente. Se il credito può in taluni casi essere leso o annullato in modo totale o parziale senza dar luogo a responsabilità, sembra inesatto riferire il risarcimento del danno di cui si discute ad una ipotetica “lesione del credito”. La lesione andrà invece riferita anche in questo caso ad una entità diversa.
Tralasciamo ancora una volta di esaminare più approfonditamente il bene che vien leso nella fattispecie in esame, rimandando questa operazione ad un momento successivo ed esaminiamo una nuova fattispecie che viene riferita alla figura della lesione del credito. Prendiamo dunque in considerazione la questione che viene normalmente definita “induzione all’inadempimento” (18). A giudizio della dottrina e della giurisprudenza che si sono occupate della questione, anche in questo caso ricorrerebbe un’ipotesi di “lesione del credito” (19). Senonchè anche questa conclusione deve essere avversata in base alle brevi osservazioni che seguono.
Ed invero, nella ipotesi in esame non si può proprio dire che la figura del vincolo obbligatorio venga in alcun modo menomata. L’inadempimento, infatti, non produce affatto né un’estensione, né una caducazione del rapporto creditorio. Esso produce infatti la riconferma del vincolo suddetto (perpetuatio obbligationis) e dà anzi luogo ad un nuovo credito a favore del soggetto attivo del rapporto, consistente nell’obbligo a risarcire il danno eventualmente causato. Se dunque l’inadempimento non produce una lesione del credito, neppure la cosiddetta induzione all’inadempimento potrà produrre la medesima lesione.
Anche in questo caso, dunque, il bene leso sarà diverso dal “bene credito”. Diversamente non si potrebbe spiegare per quale motivo il credito debba rimanere integralmente esistente mentre, nel contempo, il soggetto che subisce l’inadempimento riceve una certa lesione di carattere economico. E’ dunque evidente come questa lesione vada riferita anche in questo caso ad un “quid” diverso (20).

3) Credito e beni futuri.
Esaminiamo ora il credito sotto un diverso profilo. Esaminiamo cioè il credito da un punto di vista socio-economico. Che funzione svolge il rapporto giuridico obbligatorio da un punto di vista patrimoniale? Qual è il risultato pratico che consegue al credito da un punto di vista giuridico-patrimoniale?
Ed invero, schematizzando sinteticamente, il problema appare come segue. Con il rapporto giuridico obbligatorio le parti deducono un certo bene (detto prestazione; oggetto dell’obbligazione) e lo collegano ad un dato soggetto (o a più soggetti, reciprocamente o non). Questo soggetto sarà obbligato ad eseguire quella data prestazione che potrà consistere in un “dare”, “fare” o “prestare”. A sua volta questa prestazione può essere eseguita in modo simultaneo al sorgere di un dato vincolo obbligatorio, nel qual caso si estinguerà nel modo più classico ossia con l’adempimento. Se peraltro la prestazione contrattuale deve essere eseguita in più tempi o comunque in futuro, il rapporto obbligatorio non si estingue, ma rimane in vita. Esso, inoltre, si pone come fatto genetico di quella data prestazione che dovrà essere eseguita in futuro (21).
Esaminiamo ora questa prestazione in modo specifico. Come può essere qualificata da un punto di vista oggettivo? Quale rilievo assume per diritto?
Ed invero, rispondendo a tutte queste domande dobbiamo rilevare come la prestazione che forma l’oggetto dell’obbligazione debba essere qualificata come “bene futuro”. E’ un bene, perché da un lato risponde ad un interesse dell’uomo e, dall’altro lato, perché può essere oggetto di diritto. E’ inoltre futuro, poiché non è ancora venuto ad esistenza (22).
Con questa qualificazione, inoltre, la prestazione bene futuro viene svincolata totalmente dalla figura del credito. Essa, pur essendo originata dal credito, assume un rilievo oggettivo e si distacca totalmente dal credito stesso (23). Questo fenomeno risulta evidente in base alle brevi osservazioni che seguono.
Ed invero, una volta che è venuta ad esistenza, quella data prestazione-bene futuro (qualora ricorrano tutti i requisiti richiesti dalla legge) può essere trasferita dall’avente diritto ad un altro soggetto (1348 e 1472 cod. civ.). Questo, a sua volta, la potrà trasferire ad un altro soggetto e così via. Ciascuno dei soggetti considerati potrà compiere su quel dato bene futuro tutti i negozi giuridici che sono con esso compatibili. La prestazione futura rientrerà inoltre a pieno titolo nell’ambito del patrimonio del suo avente diritto e come tale, in base all’art. 2740 cod. civ., concorrerà a costituire la garanzia per tutti i rapporti obbligatori da lui posti in essere (24).
Questa preliminare osservazione porta ad una logica conclusione. La prestazione bene-futuro ha assunto un rilievo oggettivo e si è svincolata parzialmente dal credito. Essa è infatti oggetto del rapporto giuridico che l’ha originariamente posta in essere, ma, contemporaneamente, è anche oggetto di tutti gli altri negozi che su di questa sono stati compiuti (negozi di garanzia, compravendita, etc.). Inoltre è la lesione di questa stessa prestazione che può generare l’obbligazione risarcitoria “da fatto illecito” di cui all’art. 1176 cod. civ. (25).
A questo punto possiamo dunque trarre una prima conclusione. Possiamo affermare come sia errato parlare nel caso in esame di “lesione del credito”. Nelle varie ipotesi prese in considerazione, infatti, si rileva come vi possa essere interruzione o menomazione del rapporto creditorio senza che, nel contempo, si rilevi una corrispondente diminuzione patrimoniale. Non è dunque l’aggregazione del bene-credito che dà ingresso al risarcimento del danno, ma, piuttosto, questo nocumento deriva dalla lesione di un bene diverso. Più precisamente, questo bene può essere individuato nel bene-futuro-prestazione che, in taluni casi (ossia quando la prestazione non va eseguita simultaneamente al suo nascere), viene generato dal rapporto creditorio (26).

4) Beni futuri e diritto sui beni futuri.
La dottrina e la giurisprudenza si sono occupate molto poco dei beni futuri. Eppure questa categoria di beni è molto importante poiché viene in considerazione in diverse fattispecie legali. L’articolo 1472 cod. civ. consente, anzitutto, e disciplina la vendita di beni futuri. L’articolo 1223 cod. civ. prevedendo il risarcimento del danno da mancato guadagno, offre anche una tutela effettiva di questi beni. L’articolo 771 cod. civ. disciplina poi l’ipotesi di donazione avente ad oggetto i beni futuri. Codesti beni sono infine presi in considerazione dall’art. 1348 cod. civ. e dal già ricordato articolo 2740 cod. civ. ove si dispone che il creditore risponde “con tutti i suoi beni presenti e futuri”. La categoria dei frutti (definita dagli articoli 820ss del Codice Civile) rientra a pieno titolo nel concetto di bene futuro, ma non si identifica con esso, come è dato dedurre dalla lettura dell’articolo 771 cod. civ., ove si compie appunto una distinzione tra “frutti” e “beni futuri” in genere. In questo caso, invero, la distinzione con gli altri beni futuri sta nel fatto che i frutti derivano da una cosa madre (27).
Orbene, la più autorevole dottrina in argomento definisce il concetto di bene futuro nel modo che di seguito si espone (28). In questo concetto rientrano le seguenti voci:
1) le cose che in genere non sono ancora in natura;
2) le cose già esistenti, tuttavia non ancora occupate, ma suscettibili di occupazione;
3) i prodotti non ancora formati nella loro individualità economica;
4) i prodotti non ancora staccati dalla cosa madre;
5) i vantaggi, i guadagni e le prestazioni che comunque derivino da un dato soggetto (29).
Da un punto di vista genetico possiamo affermare quanto segue. I beni futuri sono essenzialmente generati da due diverse entità ossia dalla proprietà e dal lavoro.
La proprietà, anzitutto, genera beni futuri nella forma dei frutti naturali e civili (30), descritti e disciplinati in diverse parti del codice civile, ma principalmente agli articoli 820 ss. cod. civ. Il lavoro (31) a sua volta, genera i beni futuri nella forma di prestazioni contrattuali (lavoro, retribuzione, corrispettivo) o di altre prestazioni “non contrattuali” (proventi derivanti dall’attività di ricerca, costruzione, occupazione di res nullius, trasformazione di materie prime in altri beni). I beni futuri possono infine derivare dall’azione combinata della proprietà e del lavoro (32). Questo avviene in tutti i casi in cui una data attività economica (industria, servizi, commercio etc.) viene esercitata organizzando insieme lavoro e proprietà nella forma di impresa od in un’altra forma (ente pubblico, lavoro autonomo).
I beni futuri sono ad ogni effetto “beni” (33) e, come tali, è logico ritenere che sino oggetto di diritto in base al disposto di cui all’articolo 810 cod. civ. i beni futuri infatti possono essere oggetto di contratto (1348 cod. civ.) e, più in particolare, di donazione (771 cod. civ.) e di compravendita (1472 cod. civ.). essi possono inoltre essere oggetto di garanzia (1472 cod. civ.) e, come tali possono essere pignorati dal creditore procedente (516 cod. proc. civ.). Essi sono inoltre protetti nell’ambito della figura del risarcimento del danno, in base all’art. 1223 cod. civ.
A questo punto sorge spontanea una domanda! A che titolo si può disporre dei beni futuri? Qual è la posizione giuridica che assicura la protezione e la disponibilità di un dato bene futuro in capo ad un dato soggetto (34)? Questi quesiti appaiono di particolare interesse in base alle osservazioni che seguono.
E’ a tutti noto l’antico broccardo in base al quale “nemo transferre potest plus iuris quam ipse habet”. Esso rappresenta un principio ampiamente consolidato nel tempo, in base al quale è possibile compiere atti, di disposizione, solamente su quelle cose sulle quali si vanta un diritto. Orbene, ci chiediamo, osservando un dato negozio di trasferimento che abbia ad oggetto un dato bene futuro (ad esempio compravendita), in base a quale potere giuridico l’alienante trasferisce questo bene futuro? Qual è in pratica il diritto che viene trasferito? Se, come afferma la giurisprudenza, l’acquirente riceve uno jus ad habendam rem (35), questo significa che questo diritto già preesisteva in capo all’alienante. Orbene, ci chiediamo, come si può definire questo “jus ad habendam rem” che già preesisteva in capo all’alienante (36)?
C’è di più. In origine il potere sui frutti compete al proprietario della cosa madre. Questi, peraltro, se ne può spogliare quando costituisce un dato diritto reale o personale in capo ad un altro soggetto. Questo, a sua volta, se ne può spogliare con un negozio di vendita di beni futuri.
Anche quest’ultimo acquirente può compiere la medesima operazione e lo stesso avviene per tutti i successivi aventi diritto. Orbene, nonostante tutte queste operazioni sui frutti, il proprietario della cosa madre non perde questa sua qualità giuridica e lo stesso avviene per i titolari del diritto reale o personale di godimento della stessa. Qual è dunque il “quid” giuridico che passa da un soggetto all’altro in tutte le ipotesi sopra considerate? Come si può definire questo potere giuridico sui frutti, che può essere staccato dal potere giuridico sulla proprietà della cosa madre ed anche dagli altri diritti reali e personali su di essa (37)?
A questo punto viene in considerazione il tema della vendita di beni futuri definito dall’articolo 1472 del Codice Civile. Questa particolare figura di vendita è stata oggetto di non poche discussioni in dottrina ed in giurisprudenza. Gli studiosi si trovavano a dover rispondere ai seguenti quesiti di natura giuridica.
Come si può parlare di vendita nell’ambito del disposto di cui all’art. 1472 cod. civ., dato che non v’è alcun “passaggio” di proprietà dei beni (futuri, appunto) che ancora non esistono? Come va qualificato l’acquisto della proprietà, in epoca successiva (non appena la cosa viene ad esistenza) direttamente in capo all’acquirente? Come si spiega la “nullità della vendita” di cui all’ultima parte dell’art. 1472 cod. civ.?
Sono state formulate diverse teorie volte a spiegare questi particolari problemi. La vendita di beni futuri è stata anzitutto definita come un negozio incompleto, in quanto privo di un suo elemento essenziale. Si è parlato anche di negozio con effetti sospesi o di negozio in attesa di un suo coelemento. Si è infine definito il contratto in parola come di negozio sottoposto a condizione legale (38).
Secondo un’autorevole dottrina nel caso in esame non si potrebbe parlare di negozio incompleto. Secondo questa dottrina, invero, pur essendo la vendita un contratto consensuale dove il passaggio del diritto di proprietà si verifica con il solo consenso, nulla dice che questo trasferimento debba essere necessariamente immediato.
Secondo questo modo di vedere, la vendita di beni futuri sarebbe una vendita obbligatoria in cui il trasferimento della proprietà si verifica in un momento successivo rispetto alla stipula del contratto e dove, medio tempore, il compratore assume la veste di creditore (39). Questa stessa dottrina avverte peraltro come rimanga da chiarire se il successivo trasferimento sia effetto dell’adempimento dell’obbligazione o se si invece ricollegabile ad un fatto oggettivo (40).
La spiegazione della figura in esame come vendita obbligatoria non appare convincente tanto nei suoi presupposti, quanto nelle sue conclusioni.
Il concetto di vendita obbligatoria presuppone anzitutto una contraddizione di termini. Da un lato, infatti, la sola qualifica di vendita comporta necessariamente con sé l’altro concetto di trasferimento, di una data entità giuridica (proprietà o altro diritto). Dall’altro lato, però, l’inserzione “obbligatorio” nella stessa definizione, comporta una negazione del concetto medesimo di trasferimento. Non c’è trasferimento – si dice – ma c’è invece obbligo al trasferimento. Qual è dunque la verità? C’è questo trasferimento (e allora vi sarà vendita) o non c’è (e allora non ci sarà vendita, ma solo promessa alla vendita)?
In contraddizione prosegue poi nelle conclusioni cui si giunge con la figura della vendita di beni futuri, definita come vendita obbligatoria.
Ed invero, come va spiegato il fatto che la proprietà si acquista non appena la cosa viene ad esistenza? Questo fenomeno attiene alla conclusione di un contratto definitivo di vendita o riguarda invoca l’adempimento della precedente obbligazione assunta? La teoria in parola non può dare una spiegazione concreta a questo dilemma senza cadere in una evidente contraddizione. Se infatti l’acquisto della proprietà viene ricollegato ad un contratto successivo di vendita, si deve relegare la vendita di cosa futura nell’ambito delle figure della promessa di vendita, se invece si vuol far risalire l’acquisto della proprietà al concetto di adempimento resta però da chiarire in cosa consista questo “adempimento”, posto che la proprietà viene acquistata senza alcuna “traditio”, direttamente in capo all’acquirente.
La questione forse può essere spiegata, spostando semplicemente l’angolo visuale in cui è sempre stata considerata. Tutte le teorie prese in considerazione, infatti, si son preoccupate di trovare un accordo tra due dati apparentemente dissonanti. Questi sarebbero, infatti, da un lato la figura della vendita (dove si assume che vi debba essere necessariamente un trasferimento del diritto di proprietà) e, dall’altro lato, il fatto che, all’atto del contratto, non vi sia alcun trasferimento di un diritto di proprietà (che ancora non esiste).
Orbene, l’apparente contraddizione può invece cadere ove si consideri che con la vendita non si trasferisce solamente il diritto di proprietà. Con questo contratto, infatti, a norma dell’articolo 1470 cod. civ. si può trasferire anche “un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”.
Ciò premesso, dato che nell’ambito della figura di cui all’articolo 1472 cod. civ. non v’è un trasferimento del diritto di proprietà e dato che il legislatore “insiste” nel definire questa figura contrattuale come “vendita”, si deve concludere che con essa si compia il trasferimento di un diritto diverso dal diritto di proprietà. Più precisamente, si tratterà del diritto sul bene che viene trasferito ossia si tratterà del diritto sul bene futuro.
In un certo senso, dunque, la vendita di beni futuri è la dimostrazione del fatto che esiste un diritto sui beni futuri stessi. Nello stesso tempo, l’esistenza di questo diritto sui beni futuri spiega in qual modo possa operare la figura della vendita in parola.
Questa concezione del negozio presenta il vantaggio di consentire una spiegazione armonica dell’intera figura della vendita di beni futuri (41).
Passiamo ora ad un altro argomento ed esaminiamo più approfonditamente il potere giuridico che riguarda i beni futuri. In questo ambito, osserviamo in particolar modo il bene-futuro-prestazione ossia quella particolare utilità futura che prende origine dal credito. Al riguardo sorgono spontanee alcune domande. Ed invero, il potere giuridico sulla res di cui dispone il creditore trova la sua base giuridica nel diritto di credito, oppure ha anche una diversa motivazione giuridica? Che differenza esiste tra il diritto di credito ed il diritto di disporre del bene-futuro-prestazione?
Un esame anche sommario della fattispecie in esame porta ad identificare due diverse posizioni giuridiche soggettive (42).
Da un lato, si rileva anzitutto il diritto di credito. Esso ha natura relativa, poiché spiega i suoi effetti unicamente nei confronti del soggetto o dei soggetti obbligati. Non ha invece alcun effetto nei confronti degli altri soggetti estranei al rapporto giuridico obbligatorio. Il credito ha inoltre l’importante funzione di porre in essere ossia di generare l bene prestazione. Il vincolo giuridico in esame prende inoltre origine dalla legge o da una diversa convenzione intercorsa tra le parti (43).
Dall’altro lato, vi è poi il potere di disporre del bene-futuro-prestazione, che è sorto in forza del rapporto giuridico obbligatorio. Questo potere non è relativo, poiché non è limitato ad un determinato soggetto come avviene nel credito. Esso riguarda tutti i consociati ossia tutti quei soggetti che potenzialmente potrebbero ricevere questo stesso potere in base ad una convenzione negoziale od in base ad altro rapporto giuridico (espropriazione forzata etc.). Questo potere non nasce “dal” rapporto obbligatorio, ma è previsto dalla legge. Questa prevede e disciplina infatti un generico potere di disporre dei beni futuri con gli articoli 1348 e 1472 cod. civ. E’ questa, dunque, la base legislativa che genera il potere di disporre del bene-futuro-prestazione e non già il credito. Questo, come si è visto, si limita semplicemente in questo caso a fungere da fatto genetico del bene-futuro-prestazione. Quest’ultimo, poi, una volta generato, segue vicende parzialmente svincolate dal suo fatto generatore. Il credito, in sintesi, ne assicurerà l’adempimento nei confronti di uno o più soggetti determinati, mentre una diversa posizione giuridica soggettiva, ne assicurerà la disponibilità nei confronti di ogni altro soggetto.
In pratica si devono tenere nettamente distinte due diverse posizioni giuridiche che tendono a sovrapporsi.
Da un lato vi sono anzitutto i fatti genetici di beni futuri. Essi sono la proprietà (frutti naturali e civili) il lavoro (prestazioni contrattuali, credito, etc.) nonché lavoro e proprietà combinati insieme (impresa, lavoro autonomo, enti pubblici etc.). Dall’altro lato vi sono poi le basi giuridiche che assicurano il godimento e la protezione dei beni futuri. Esse sono costituite in sintesi dagli articoli 771, 1223, 1348, 1472, 2740 cod. civ.. Fatti genetici e potere giuridico sono due cose ben distinte e tali rimarranno anche per quanto riguarda il credito.
Il diritto di credito è dunque la posizione giuridica che si pone come fatto generatore del bene-futuro-prestazione. Esso assicura inoltre l’adempimento nei confronti del soggetto obbligato. Il diritto di credito non va invece confuso con il potere di disporre del bene futuro, che è stato posto in essere. Questo potere ha infatti un carattere generale e riguarda tutti i beni futuri che fanno capo ad un dato soggetto (provenendo dalla proprietà, dal lavoro o da lavoro e proprietà combinati insieme). Esso non si identifica con il credito perché esiste indipendentemente da esso, trovando la sua base giuridica in diverse fonti legislative (art. 771, 1223, 1348, 1472, 2740 cod. civ.).
D’altra parte, il fatto che il diritto di credito ed il potere di disporre del bene-futuro-prestazione siano entità distinte, risulta evidente in base alle osservazioni che seguono.
Ed invero, l’atto dispositivo del bene futuro può anzitutto avere ad oggetto beni che non derivano dal credito, quali i frutti naturali e civili. Con il che si dimostra come il potere dispositivo del bene futuro sia cosa non coincidente con il credito (44).
Non è tutto. Un dato soggetto può benissimo compiere un negozio di trasferimento di un dato bene-futuro-prestazione prima ancora di aver posto in essere il rapporto giuridico obbligatorio, che gli darà diritto a quella data prestazione che ha formato oggetto della sua disposizione. Anche in questo caso si dimostra, dunque, come il potere di disposizione del bene futuro abbia una base diversa dal potere giuridico che trae origine dal credito (45).

5) Il diritto soggettivo sui beni futuri.
E’ giunto ora il momento di definire in modo più approfondito la posizione giuridica soggettiva che sinora abbiamo trattato. Come si può definire il potere giuridico sui beni futuri? Quale nome si può dare a questo diritto (46)?
Ed invero, esiste nella lingua italiana un termine che esprime il concetto dinamico temporale che è presente in tutte le azioni dell’uomo. Questo termine è “il profitto”. Con questa parola si vuole infatti indicare ogni vantaggio, ogni progresso, ogni frutto, che deriva all’uomo o dalla sua attività o dalla natura o anche da caso (47).
Il fenomeno “profitto” è quello con cui la proprietà tende ad accrescersi nel tempo. Al suo contrario esiste invece il consumo, ossia quel fenomeno con cui la proprietà tende a diminuire od ad essere intaccata nel tempo. Il profitto da un punto di vista giuridico ha dunque un aspetto dinamico che si può qualificare come segue. Esso, una volta conseguito, rientra nel concetto giuridico di proprietà. In questo momento è infatti un bene esistente e come tale può essere oggetto di diritto reale. Questa stessa qualificazione non è invece possibile quando il profitto non è ancora venuto ad esistenza. In questa fase, infatti, esso si identifica in pratica con il concetto di bene futuro e, come tale, non può rientrare né nel concetto di proprietà né in quello di un altro diritto di natura reale.
Poiché peraltro, come si è visto, dei beni futuri si può disporre, sorge il problema della definizione di una nuova posizione giuridica di diritto soggettivo. Questa, dunque, potrà essere definita come “diritto al profitto” ossia di quel potere di godere e di disporre dei propri beni futuri non ancora venuti ad esistenza, e di ottenere dai terzi, un comportamento conforme all’ordinamento vigente quanto ai beni medesimi (48).
La tutela giuridica del profitto appare poi evidente in base alle osservazioni che seguono. Ed invero, l’articolo 1223 stabilisce come il risarcimento del danno debba comprendere le perdite subite e “il mancato guadagno”. Orbene, dato che il risarcimento del danno è diretto a riportare il patrimonio del soggetto leso nello stato in cui si trovava prima del verificarsi dell’evento dannoso si deve necessariamente concludere come il mancato guadagno rientri a pieno titolo nel concetto giuridico di patrimonio disciplinato dall’art. 1223 cod. civ. (49). Questo sarà dunque costituito da due diversi elementi. Da un lato si rileveranno quindi i beni esistenti, che correlativamente corrispondano alle “perdite subite” e, dall’altro lato, si rileveranno i beni futuri che sempre correlativamente corrisponderanno ai “mancati guadagni” (50).

6) Conclusione.
Concludiamo brevemente e ritorniamo dunque al tema della lesione del credito.
Sotto questo profilo osserviamo preliminarmente come sia errato definire come “lesione del credito” la categoria in esame. Se ci può essere menomazione o caducazione del credito senza danno, sembra infatti inesatto riferire a questa sola entità la lezione di cui si discute. Si dovrà invece vedere se il bene leso non sia una cosa diversa dal rapporto obbligatorio. Si dovrà cioè individuare l’oggetto esatto della lesione in esame.
Ed invero, esaminando la fattispecie, sembra potersi affermare come in tutte le ipotesi di danno descritte, l’entità che subisce una lesione corrisponda al bene-futuro-prestazione che prende origine dal credito. Vi può infatti essere lesione del credito senza danno (ossia quando manca una prestazione futura o quando è già stata eseguita oppure quando la caduta avviene in modo equo e contemporaneo per entrambi i soggetti), ma quando viene colpito il bene-futuro-prestazione in capo ad un unico soggetto vi è sempre danno. Il bene-futuro-prestazione è dunque il fenomeno a cui va ricondotta la fattispecie in esame.
Il credito è in pratica un fatto generatore di profitto, intendendosi con quest’ultimo termine il fenomeno complessivo dei beni futuri che possono far capo ad un dato soggetto. Il credito pone infatti in essere determinate utilità che potranno essere godute in un momento successivo. L’avente diritto non potrà trasferirle a terzi. Sulle medesime utilità potranno inoltre essere compiuti altri negozi giuridici.
Si configura a questo punto un nuovo diritto soggettivo parallelo ma distinto dal credito. Quest’ultimo ha infatti carattere relativo ed assicura la tutela nei confronti del solo soggetto obbligato. Il credito trae inoltre origine dalla legge o da una convenzione delle parti. Il nuovo diritto può trasferirlo a qualunque consociato, esso ha una fonte diversa dal credito poiché è direttamente originato dagli articoli 771, 1348, 1223, 1472, 2740 cod. civ.
I beni futuri sono altresì tutelati erga omnes in base all’art. 1223 cod. civ. Questo articolo assicura infatti la protezione dei mancati guadagni nell’ambito della figura del risarcimento del danno. Ora, dato che questo risarcimento è diretto a ricostruire lo status quo ante del soggetto leso, la presenza in esso dei “mancati guadagni” sta ad indicare che i beni futuri rientrano a pieno titolo nel concetto giuridico di patrimonio. In quanto tali, saranno tutelati erga omnes per quanto non ancora venuto ad esistenza.
Ciò premesso, possiamo passare a definire la posizione giuridica che ha ad oggetto il fenomeno “profitto” ossia i beni futuri. Essa potrà essere definita come il diritto di godere e di disporre dei propri beni futuri (utilità e guadagni) non ancora venuti ad esistenza e di ottenere dai terzi un comportamento conforme all’ordinamento vigente quanto ai beni medesimi.
In conclusione, dunque, possiamo affermare quanto segue. Il rapporto obbligatorio pone talvolta in essere un bene-futuro-prestazione (profitto). Quando ciò avviene l’avente diritto dispone di due diverse posizioni giuridiche soggettive: una (credito) tutelata nei confronti del solo soggetto obbligato e l’altra (diritto al profitto) tutelata nei confronti di tutti i consociati. Se si verifica un evento lesivo da parte di un soggetto esterno al rapporto obbligatorio, questo verrà a ledere il diritto al profitto, in base al quale il suo titolare ha il potere di godere e di disporre di quella data prestazione in modo oggettivo ed a prescindere dal suo adempimento (ossia dal credito).

7) Alcune conseguenze pratiche e teoriche.
La individuazione ed il riconoscimento di un diritto soggettivo al profitto, comportano numerose conseguenze di carattere pratico e teorico nell’ambito del nostro ordinamento. Oltre a dare un contributo alla risoluzione del tema della lesione del credito, queste conseguenze si possono riassumere come segue:
a) Responsabilità civile. La individuazione di un diritto soggettivo di carattere assoluto che ha ad oggetto il bene-futuro-prestazione (diritto al profitto) ci porta a riflettere nuovamente sulla figura legale della responsabilità civile. La dottrina e la giurisprudenza avevano infatti mutato la loro impostazione tradizionale della soluzione della responsabilità aquiliana (secondo la quale per aversi responsabilità civile occorreva la lesione di un diritto soggettivo di natura assoluta) proprio per arrivare ad ammettere il risarcimento del danno nei confronti della cosiddetta lesione del credito (cioè di un diritto reale relativo). Se si riconosce l’esistenza del diritto al profitto che si è descritto nelle pagine che precedono, questa impostazione del problema perde il suo scopo e la sua funzione iniziale. Di conseguenza, viene nuovamente (e con più forza) in considerazione l’impostazione teorica della responsabilità aquiliana, come lesione di un diritto soggettivo di natura assoluta.
b) Concorrenza sleale. La dottrina e la giurisprudenza si sono chieste con frequenza quale fosse il diritto soggettivo tutelato con la disciplina prevista dal nostro ordinamento in tema di concorrenza sleale.
La figura del diritto al profitto può essere una risposta anche a questo problema. Con le norme presenti in tema di concorrenza sleale, infatti, la legge si propone, tra l’altro, di tutelare i beni futuri (ordini, contratti, utili sociali) che fanno capo ad un determinato soggetto, in un dato momento, in forza di una data attività economica.
c) Avviamento. Il tema dell’avviamento è di stretta connessione con quello della concorrenza sleale, posto che quest’ultima rappresenta una minaccia all’avviamento inteso come probabilità di guadagno futuri. Il tema dell’avviamento e la sua esatta natura giuridica sono stati lungamente discussi dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In questa materia il tema del profitto può dare il suo apporto teorico pratico nella maniera che segue. Da un punto di vista funzionale, l’avvenimento può essere considerato una forma di quantificazione dei beni futuri profitto che fanno capo ad un dato soggetto, quantificazione che viene fatta secondo determinate regole di carattere metagiuridico (economia, contabilità). Da un punto di vista formale, invece, la legislazione presente in tema di avviamento rappresenta una forma di tutela e di disciplina del profitto.
d) Responsabilità della p.a. La pubblica amministrazione non risponde sempre civilmente degli atti illegittimi (cioè viziati ed annullati dall’autorità giurisdizionale amministrativa). Essa risponde del danno causato da codesti atti illegittimi solo quando abbia contemporaneamente leso anche un diritto soggettivo perfetto. Ciò premesso, in moltissimi casi il cittadino non può ottenere il risarcimento del danno causato dalla p.a., essendo sprovvisto di titolarità di un diritto soggettivo perfetto. Se peraltro si riconosce la figura del diritto al profitto, questa situazione può subire una notevole trasformazione, L’area di diritti soggettivi posti a favore del privato nei confronti della p.a., diviene infatti più ampia e, conseguentemente, si restringe l’area degli interessi sostanziali che risultano privi di protezione giuridica.
e) Interessi sui beni futuri. Il profitto (beni futuri) è un momento importante del fare umano, posto che ogni azione ha generalmente come scopo o come presupposto il conseguimento di un dato bene futuro. Il lavoro viene svolto per una retribuzione o per un corrispettivo. L’impresa viene costituita per conseguire appunto gli utili d’impresa. Il danaro viene investito per conseguire gli interessi (frutti naturali o frutti civili) ed anche le attività umanitarie benefiche vengono poste in essere per conseguire i beni futuri, corrispondenti ai benefici di cui godranno i soggetti destinatari di quella data attività. Il concetto di profitto riunisce tutti questi interessi sotto un’unica categoria, offrendo loro una tutela di rango elevato, nella forma del diritto soggettivo.
f) Vendita di beni futuri. Come si è visto, la figura del diritto soggettivo al profitto consente di offrire una spiegazione dell’istituto della vendita di beni futuri. Secondo la spiegazione offerta, questa vendita consisterebbe in sintesi nel trasferimento da un soggetto all’altro del diritto su di un dato bene futuro (diritto al profitto). Sull’onda di questa spiegazione, la stessa impostazione teorica può essere data ad ogni negozio che abbia ad oggetto i beni futuri. Questi negozi, dunque, altro non sarebbero che figure contrattuali che prendono ad oggetto il diritto sui beni futuri. In questo ambito, viene anche in considerazione l’istituto del “factoring”. Questa figura negoziale è interamente incentrata, su di un particolare tipo di bene futuro, consistente nei crediti che fanno capo ad una data impresa commerciale. Anche in questo caso si può ritenere che lo schema essenziale del factoring si concreti in una cessione del diritto al profitto sui beni futuri che vengono in considerazione.
h) Danno alla persona. L’impostazione teorica delle figura del risarcimento del danno alla persona ha sempre creato delle difficoltà agli studiosi che se ne sono occupati. Come si può quantificare un danno su di un oggetto – la persona umana, appunto – che per sua natura non è quantificabile? Anche in questo caso, il diritto al profitto può contribuire alla soluzione di questo problema. Riconoscendo questa particolare figura di diritto, il risarcimento in esame appare non già come risarcimento alla “persona”, ma piuttosto reintegrazione dei beni futuri (oltre a quelli presenti, corrispondenti al concetto di perdite subite di cui all’art. 1223) che vengono persi in seguito alla menomazione della integrità psicofisica. La lesione della persona, dunque, si pone come un atto plurioffensivo. Essa non lede solo l’integrità psicofisica di un dato soggetto, ma comporta una caduta di un certo numero di beni futuri, consistenti minori vantaggi che divengono possibili per il soggetto leso (nonché in ogni altro beneficio futuro ed economicamente valutabile che viene a cadere).

(1) L’articolo è una rielaborazione del pensiero che è esposto al capitolo XI dell’opera “La tutela del profitto” (Amedeo Nigra, Pirola ed., 1985, pp. 260). Secondo il pensiero che è esposto nel testo citato, il concetto di profitto sotto il profilo giuridico si identificherebbe con quello di “bene futuro”. Il profitto, in pratica, sarebbe il vantaggio (bene futuro, appunto) che l’uomo si attende in un dato momento. Tra i beni futuri che vengono in considerazione in tema di profitto ci sono anche le prestazioni contrattuali e, quindi, il concetto di credito in genere.
(2) Il tema della lesione del credito è stato studiato da numerosi autori. La bibliografia sull’argomento è molto vasta. Al riguardo ricordiamo, tra gli scritti più recenti: DEL CONE E. Recenti indirizzi interpretativi dell’art. 2043 cod. civ. per la tutela del diritto di credito, in Resp. Civ., 1983, 716. PICCARDI M., Lesione del diritto di credito del datore di lavoro alle prestazioni lavorative del dipendente e selezione degli interessi meritevoli di tutela, in Dir. E pratica assic. 1983, 514. MARTANO M., Tutela aquiliana del diritto di credito del datore di lavoro; un problema da rimediare (Nota a T. Varese, 21 settembre 1982, Ditta Tutto Lamier c. Lazzaretto), in Giust. It., 1984, I,2,65. ANTINOZZI M., La “vittima della strada” e le pretese risarcitorie del suo datore di lavoro, in Riv. Dir. Civ., 1984, II, 69. POLETTI D., Sul risarcimento del danno in favore del datore di lavoro per l’invalidità temporanea del dipendente provocata dal fatto illecito di un terzo (Nota a Cass. 9 febbraio 1982, n. 763 Dallari c. Soc. Campi; T. Cremona, 1 luglio 1982, Mafezzoni c. soc. Cremonese e P. Pordenone, 11 marzo 1982, Soc. Costruì. Meccaniche Zanussi c. Molin) in Riv. Giur. Lav., 1983, II, 421. BESSONE M., Dagli orientamenti tradizionali alle nuove direttive della giurisprudenza in tema di responsabilità civile per lesione del credito (e per induzione all’inadempimento), in Foro pad., 1981, Ii, 41. SPECIALE R., Lesione del credito del datore di lavoro e danni risentiti dai dipendenti (Nota a Cass., 9 febbraio 1982, n. 763, Dallari c. Soc. Campi) in Giur. It., 1983, I, 1, 633. BESSONE M. Tutela aquiliana del credito e responsabilità per i danni causati dalla temporanea invalidità del prestatore di lavoro (Nota a P. Vercelli, 17 ottobre 1980, Soc. Siver e Novasio) in Giur. Merito, 1982, 1189. GRIPPAUDO I.M., Il risarcimento del danno causato da terzi all’ente dal quale l’impiegato dipende, in Nuova rass., 1983, 689. GENTILI A., Sull’ampiezza del danno risentito dal datore di lavoro per l’assenza del lavoratore dipendente da fatto illecito del terzo (Nota a T. Piacenza, 11 maggio 1982, Soc. Sip c. Lloyd Italico e d’Ancora) in Risparmio, 1982, 797. TRIMARCHI P., Sulla responsabilità del terzo per pregiudizio al diritto di credito, in Riv. Dir. Civ., 1983, I, 217. BESSONE M. Lesione del credito, l’induzione a non adempiere, a tutela aquiliana dei diritti personali di godimento negli orientamenti a una giurisprudenza evoluta, in RIv. Not., 1982, 11. LICCI G., Impresa familiare e lesione del diritto di credito, in Dir. E pratica assic., 1980, 301. DI MARCO GENTILE C., Spunti per un’applicazione in tema di tutela aquiliana del credito (Nota a Cass. 11 luglio 1978, n. 3507, Tendas c. Fontanella), in Rass. Giur. Enel, 1979, 228. MANDELLI R. Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di ammissibilità della tutela aquiliana per lesioni del diritto di credito del datore di lavoro in seguito ad infortunio non letale del lavoratore (Nota di A. Milano, 16 febbraio 1979, Soc. Campi c. Dallari), in Orientamento giur. Lav., 1979, 453. ANTINOZZI M., Irrisarcibilità del danno a favore del datore di lavoro per sinistro occorso a suo dipendente (Nota a P. Vicenza, 15 gennaio 1977, Soc. Vicentini c. Bertinazzi) in Dir. E pratica assicur. 1977,455. DE MARCO C., Ancora sul diritto al risarcimento del danno del datore di lavoro che ha corrisposto la retribuzione al proprio dipendente rimasto infortunato per fatto illecito del terzo (Nota P. Vicenza, 15 gennaio 1977, Soc. Vicentini c. Bertinazzi), in Resp. Civ. 1978, 117. PIRAINO LETO A., La tutela aquiliana del credito in Vita not. 1977,11. ANTINOZZI M., Esclusione della tutela aquiliana per la lesione del credito ad opera di terzi (Nota a Cass. 5 luglio 1976 n. 2489, Colombo c. Morra), in Dir. E pratica assic., 1977,208. PONTI I., Risarcimento del danno a favore del datore di lavoro per sinistro occorso a suo dipendente: una sentenza innovativa (Nota a T. Milano, 20 febbraio 1975, Salvi c. Pagliughi) in Resp. Civ. 1975, 184.
(3) La più antica dottrina e giurisprudenza sono attestate sul principio per cui il risarcimento del danno (tra l’altro) veniva ammesso nella sola ipotesi di lesione di un diritto soggettivo perfetto. Sul tema, più ampiamente, vedasi, FERRINI in N.D.I., Vol. VI, 1938, voce illecito; p. 662; MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale V, Mi, 1958; TRIMARCHI, in Enc. Del Dir., Vol. XX, pp. 93 ss.
(4) La decisione che ha portato ad una svolta decisiva è stata quella, ormai famosissima, della Cassazione a Sezioni Unite del 25 gennaio 1971 n. 174 (in Gius. Civ. 1971, I, 99). Nell’occasione, la Suprema Corte dichiarava che, ai fini della responsabilità civile di tipo aquiliano, non aveva alcun rilievo la distinzione tra diritto assoluto e diritto relativo. La lesione ingiusta anche di una posizione quantificabile di diritto relativo avrebbe pertanto comportato l’obbligo a risarcire il danno eventualmente causato.
(5) Questo problema è stato sollevato da una interessante decisione della Cassazione (Cass. 1-4-1980 in Foro It., 1980, I 388). La Suprema Corte, nell’occasione, ha individuato nel credito due diversi profili, uno relativo, destinato ad operare nei confronti del solo contraente, ed uno oggettivo, destinato ad operare nei confronti di ogni consociato. La decisione così recita testualmente in uno dei suoi passi più interessanti:”Né sussiste incompatibilità tra il carattere relativo della tutela del diritto di credito ed il carattere assoluto della tutela aquiliana, in quanto tali tutele riguardano due momenti diversi del rapporto obbligatorio; la prima attenendo al momento dinamico o interno, che si esprime nel potere del creditore di esigere la prestazione dal debitore, e la seconda, invece, al momento statico o esterno, che si esprime nell’apparenza dell’interesse del creditore alla sfera giuridica patrimoniale del medesimo come mezzo di difesa di tale sfera, dall’illecita ingerenza di terzi.
(6) L’individuazione di una diversa posizione giuridica non è nuova. Secondo una decisione della Cassazione (Cass. 4-5-1982 n. 2765 in Giust. Civ., 1982, I, 1745) esisterebbe un diritto definito come “il diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell’attività negoziale relativa al patrimonio”. Il tema è ripreso dalla dottrina. Lo Ziccardi (L’induzione alla inadempimento, Mi, 1979) ha individuato nel contratto una posizione giuridica di carattere sostanziale e diversa del credito, con un rilievo sostanziale indipendente dal diritto di credito (ZACCARDI, op. cit., pag. 73,76,79,131).
(7) Con la posizione economica generale del credito si hanno in pratica due diversi interessi dell’uomo di natura sostanziale. Il primo ha natura relativa in quanto si rivolge al solo debitore, consistendo nell’interesse ad ottenere la prestazione nei confronti di quest’ultimo. Il secondo ha invece un carattere assoluto. Il creditore, infatti, a prescindere dall’obbligo che grava sul suo debitore, ha un interesse economico di natura sostanziale di ottenere quella data prestazione.
(8) Il tema della scomparsa dei congiunti in seguito a fatto illecito del terzo, e del conseguente obbligo al risarcimento del danno è stato largamente trattato dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Al riguardo, in particolare, vedasi C.M. BIANCA, L’inadempimento delle obbligazioni, Zanichelli, Bo, 1980, Sub art. 1223 cod. civ. ed in particolare pag. 288 ss.
(9) Gli studiosi si sono spesso trovati in difficoltà nel qualificare giuridicamente e sostanzialmente questo genere di prestazioni, che i congiunti normalmente si usano scambiare. Si parla infatti di “alimenti” o di “prestazioni alimentari” (Bianca, loc. ult. Cit.) o di “sovvenzioni pecuniari” o di “aspettativa di prestazioni costituenti un duraturo e concreto apporto patrimoniale” (in Giust. Civ. Mass 1966, 333) e Cass. 26-2-1966 n. 594.
(10) E’ difficile predeterminare in modo rigido e schematico le ragioni ed i fatti giuridici che danno origine alle prestazioni economiche che vengono in considerazione. Questi fatti possono sì essere l’obbligazione alimentare di cui all’art. 433 cod. civ. Ma nulla esclude che essi possano avere altra natura (contratto a prestazioni corrispettive o donazione ad esempio). La questione ha rilievo dal punto di vista “interno” al rapporto in questione, ma non rileva comunque dal punto di vista giuridico esterno che qui si esamina. Queste prestazioni sono ad ogni effetto un beneficio per il soggetto preso in considerazione e si tratta di vedere come ed in qual misura detto beneficio possa o debba essere tutelato dal diritto.
(11) L’espressione credito è sicuramente dubbia e va precisata. Con questo termine si può anzitutto indicare un dato rapporto giuridico, ossia il vincolo giuridico che lega un dato soggetto attivo (creditore) ad un altro soggetto passivo (debitore), avendo ad oggetto una data prestazione contrattuale. Con il termine credito si può infine indicare proprio quest’ultima prestazione. Quasi sempre quando si parla di lesioni del credito ci si riferisce alla menomazione di quest’ultimo aspetto di natura sostanziale. Come si dirà più oltre, questo modo di vedere le cose non è esatto. Nel caso in esame è più esatto parlare di “lesione della prestazione”.
(12) Con questo esempio si vuol fare riferimento ad un caso concreto esaminato dalla Cassazione (Cass. Sez. un. 25-1-1971, n. 174 in Giust. Civ., 1971, I, 99). Nel caso preso in considerazione una data società calcistica agiva in giudizio contro i responsabili della morte di un suo calciatore, chiedendo il risarcimento del danno delle perdite subite e consistenti nella perdita delle prestazioni professionali ad opera del calciatore scomparso.
(13) Anche in questo caso ci si riferisce ad alcune vicende giudiziarie, in cui era stato chiesto il risarcimento del danno derivato, appunto, in seguito alla interruzione temporanea di un dato rapporto obbligatorio. In questa ipotesi la cassazione affermava il principio per cui la estinzione del credito avrebbe dato ingresso al risarcimento del danno relativo, nella sola ipotesi in cui ne fosse derivata al debitore una perdita definitiva ed irreparabile (Cass. 5-7-1976, n. 2489, in Foro It. 177,I,1773).
(14) Il concetto di insostituibilità delle prestazioni contrattuali, quale requisito per la concessione del risarcimento del danno è stato introdotto per la prima volta dalla Cass. Sez. un. 25-1-1971, n. 174 già citata.
(15) Questo requisito è stato richiesto dalla sentenza della Cassazione del 5-1-1976, n. 2409 in Giust. Civ. Mass., 1976, 1043 dove si vede un evidente sforzo di ampliare l’ambito della tutela offerta al soggetto danneggiato.
(16) Questa decisione (Cass. 8-11-1980n. 6008, in Rass. Giur. Enel 1981, pag. 190 ss.) è decisamente interessante. Con i termine “perdita secca” o altri consimili (diminuzione patrimoniale atc.) ci si avvicina maggiormente alla realtà della questione. Si prende cioè in considerazione il rilievo sostanziale di tipo economico, abbandonando ogni altro rilievo di tipo formale o astratto. Sotto questo profilo so afferma per la prima volta che si dà luogo al risarcimento del danno, quando di fatto, si rilevi la caduta (perditasecca) di un dato bene di natura economica.
(17) In effetti, la giurisprudenza non manca di rilevare come la questione che viene in considerazione sia diversa dal “credito” in senso stretto. In tutte le decisioni si cerca evidenziare e di individuare il principio concettuale che serva a discriminare le interruzioni del credito che devono essere risarcite, rispetto a quelle che non meritano questo risarcimento.
(18) Il tema della induzione all’inadempimento è sicuramente complesso ed affascinante. Sull’argomento un testo completo ed interessante è costituito dall’opera di F. ZICCARDI, L’induzione all’inadempimento,Milano, Giuffrè, 1979.
(19) La questione viene normalmente classificata nell’ambito della lesione del credito, poiché l’induzione all’inadempimento produce un effetto simile a quello della “caduta” del credito.
(20) Nel caso esaminato è evidente come il rapporto giuridico creditorio rimanga rimanga formalmente integro. Ma (come ben sa chi si occupa del teme del fallimento e dell’esecuzione forzata) a che serve un’obbligazione che, sul piano pratico non si può adempiere? Anche in questo caso ciò che viene meno non è il credito, ma l’interesse economico sostanziale che ha ad oggetto le prestazioni che il creditore si attende.
(21) La prestazione contrattuale ha dunque due diversi rilievi. Da un lato è un requisito essenziale dell’obbligazione dell’obbligazione in base al disposto di cui all’art. 1325 cod. civ. Dall’altro lato, e simultaneamente, è un’entità giuridica che viene generata dal credito stesso.
(22) Che sia oggetto di diritto appare fuor di dubbio posto che la prestazione è in diretta relazione con il diritto di credito, nonché come si dirà più oltre, anche con il diritto di compiere su di essa altri negozi giuridici. Non tutte le prestazioni contrattuali assumono invece la qualità di bene futuro, giacchè questa sussiste solo quando il tempo dell’inadempimento è differito rispetto a quello del sorgere della obbligazione.
(23) Lo stesso fenomeno si rileva anche con riferimento ai beni presenti. Quando una data proprietà viene dedotta in contratto, l’oggetto della obbligazione assume un duplice rilievo. Da un lato il bene che viene in considerazione è oggetto di un diritto assoluto, corrispondente al diritto di proprietà. Dall’altro lato, inoltre, il medesimo bene è al tempo stesso oggetto di un diritto relativo, corrispondente alla figura contrattuale che viene in considerazione.
(24) Anche il codice di procedura civile agli articoli 516, 545 considera i beni futuri quale oggetto dell’esecuzione forzata.
(25) Si può infatti ritenere che, quando viene interrotto un rapporto giuridico creditorio, senza che vi sia alcuna lesione del bene-futuro-prestazione, non venga in considerazione un’obbligazione da fatto illecito di cui all’articolo 1176 cod. civ. Nel caso considerato, infatti, vi è sì un evento riprovato dal diritto, ma, mancando la lesione (caduta della prestazione), manca in senso tecnico un dato oggetto da riferire all’obbligazione che astrattamente potrebbe sorgere. Non si ha dunque un’obbligazione completa: vi è sì un fatto astrattamente genetico di un’obbligazione (l’illecito appunto) ma, mancando il danno (oggetto dell’obbligazione risarcitoria), non si può parlare di obbligazione in senso tecnico.
(26) In estrema sintesi, sul piano sostanziale, ciò che ha rilievo è sempre e comunque la prestazione che forma l’oggetto dell’obbligazione. Avendo come riferimento questo elemento sostanziale anche la fattispecie giuridica può essere risolta in modo più agevole.
(27) L’articolo 771 cod. civ. stabilisce infatti che “la donazione non può comprendere che beni presenti del donante. Se comprende beni futuri è nulla rispetto a questi, salvo che si tratti di frutti non ancora separati”. A sua volta gli articoli 820 e 821 cod. civ. stabiliscono il principio per cui i frutti (naturali o civili) si caratterizzano per il fatto di derivare da una cosa madre. Si deve concludere che i frutti siano beni futuri, differenziandosi, rispetto ai beni della stessa specie, per il fatto di essere generati nell’ambito del diritto di proprietà (cosa madre).
(28) Più ampiamente, vedasi, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, Torino, UTET, 1972, pag. 331.
(29) Nell’elenco che si è sopra evidenziato (punti 1-4) possono astrattamente rientrare anche le prestazioni contrattuali. Con la voce che si esamina si dà comunque una particolare rilievo ad ogni altro beneficio (contrattuale o non) che comunque possa lecitamente derivare all’uomo e che, al tempo stesso, sia considerato meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.
(30) Questo rilievo può essere desunto principalmente dalla lettura degli articoli 820 cod. civ., ove si disciplina la figura legale dei frutti naturali e civili. Sul tema ampiamente, vedasi P. BARCELLONA, in Enc. Del Dir., Vol. XVIII, Milano, Giuffrè, 1969, p. 205 ss.
(31) Il lavoro, come fatto genetico di beni futuri, trova la sua base normativa agli articoli 36 della Costituzione ed agli articoli 2099 del Codice Civile. Nell’ambito della società lo stesso principio è affermato dagli articoli 2247 cod. civ. (nozione di società) e 2265 cod. civ. (divieto di patto leonino) anche il lavoro svolto in forma di società genera beni futuri nella forma degli utili sociali e, questi, vengono tutelati da illecite ingerenze interne nell’ambito della protezione offerta dall’articolo 2265 cod. civ.
(32) Secondo la dottrina economica la figura dell’impresa risulta dalla riunione dei fattori della produzione, costituiti da “natura”, “capitale” e “lavoro”. Sotto il profilo giuridico, questa materia risulta disciplinata dagli articoli 2082 cod. civ. (Imprenditore) e 2555 cod. civ. (Azienda). Dal combinato disposto di questi due articoli risulta che l’impresa è essenzialmente costituita dalla proprietà (natura, capitale) e dal “lavoro” (prestato dall’imprenditore e dai suoi collaboratori). Secondo la giurisprudenza, inoltre, l’azienda è la riunione di alcuni beni produttivi operata dall’imprenditore al fine di ottenere un profitto maggiore di quello che si otterrebbe da ciascuno preso singolarmente. Al riguardo, più ampiamente vedasi G. AULETTA, in Enc. Del Dir., Vol. 4°, Milano, Giuffrè, 1959, pag. 631.
(33) I beni futuri hanno la qualifica di beni sotto due diversi profili. Anzitutto sono tali in quanto così definiti dalla legge. Secondariamente rispondono ad un preciso interesse sostanziale dell’uomo.
(34) Il concetto di diritto soggettivo e la sua definizione è stata ed è tuttora oggetto di vivaci dispute. Al riguardo, vedasi più ampiamente, WIDAR CESARINI SFORZA, in Enc. Del Dir., Vol. XII, Milano, Giuffrè, 1964, voce “diritto soggettivo”. Secondo questo autore, in sintesi, il diritto soggettivo sarebbe il “potere individuale di regolare un certo comportamento altrui, secondo un ordine oggettivo ed il potere individuale di eseguire un comportamento conforme all’ordinamento vigente”.
(35) Tra le sentenze più recenti, parla espressamente di “jius ad habendam rem” la Cassazione 16-7-1983 in resp. Foro It., 1983, voce vendita n. 36.
(36) La giurisprudenza esaminata dà per scontato lo “jius ad habendam rem” in capo all’acquirente nel negozio di vendita di beni futuri. Resta peraltro da spiegare quale sia il fatto genetico di questo “ius”, ossia quale sia la sua esatta natura giuridica.
(37) Che si tratti di un’entità giuridica del tutto indipendente non sembra possa dubitarsi, posto che il bene futuro può venire in considerazione in una molteplicità di figure giuridiche (proprietà, vendita, affitto, usufrutto) del tutto indipendenti tra di loro. Infatti, il proprietario che si spoglia dei frutti non perde la sua qualità di “signore” della cosa madre e così avviene per l’affittuario e per l’usufruttuario.
(38) Più ampiamente, vedasi C.M.BIANCA, La vendita, cit., pagg. 334, 335.
(39)PERLINGERI, I negozi sui beni futuri, la compravendita di cosa futura, jovine, Napoli, 8° ed., 1962, pagg. 43,52,55.
(40) PERLINGERI, op. cit., pag. 57.
(41) Secondo questo modo di vedere le cose la vendita di beni futuri sarebbe, più semplicemente, il negozio con cui si trasferisce appunto il diritto sul bene futuro e non già la proprietà di esso, che ancora non esiste. Quando quest’ultimo fenomeno avverrà, il bene (non più futuro ma presente) apparterrà a chi risulti titolare dell’originario diritto sul bene futuro stesso.
(42) Le due posizioni si distinguono, come vedremo, anzitutto per la natura del potere concesso dalla legge e, secondariamente, anche per le diversità dei soggetti che vengono in considerazione.
(43) Essenzialmente, il concetto di relatività del diritto di credito sta appunto ad indicare che esso opera, nei confronti dei soli soggetti che vengono predeterminati dalle parti o dalla legge e che sono obbligati ad eseguire quella data prestazione.
(44) Il potere di disporre di beni futuri è dunque più ampio del diritto di credito. Con il primo si può disporre non solo del bene-futuro-prestazione, ma anche in qualsiasi altro genere di bene futuro, probabile o semplicemente “sperato”.
(45) Questo rilievo appare decisivo. La legge consente infatti di dedurre in un negozio avente ad oggetto beni futuri, anche prestazioni contrattuali che ancora non esistono e relative a rapporti giuridici non ancora formati.
(46) Secondo la più autorevole dottrina (che si è citata alla nota “34”) il potere giuridico su di un dato oggetto individua la presenza di un diritto soggettivo.
(47) Secondo la lingua italiana con il termine “profitto” si intende ogni “giovamento”, “vantaggio”, “utilità” “beneficio” “frutto” (Diz. Garzanti della lingua italiana, Milano, 1° ed. 1965, voce “profitto”).
(48) Questa definizione risulta in sintesi dal combinato disposto dagli articoli 1348 cod. civ. e 1223 cod., civ. Il primo consente un potere di godere e di disporre relativamente ai beni futuri, mentre il secondo ne assicura la protezione nell’ambito della figura del risarcimento del danno.
(49) Si può dire che l’articolo 1223 cod. civ. contenga in pratica la definizione del concetto di patrimonio. Da un lato, il risarcimento del danno è diretto a ricostruire il patrimonio del soggetto leso, riportandolo nello status quo ante. Dall’altro lato, la legge ci dice (all’art. 1223 cod. civ. appunto) che il risarcimento deve comprendere le perdite subite ed i mancati guadagni. Si può infatti affermare che ogni patrimonio è costituito essenzialmente da beni presenti (cui corrisponde il risarcimento delle perdite subite) e dai beni futuri (cui corrisponde il risarcimento dei mancati guadagni).
(50) Ibidem.


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