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6 Febbraio 2006

IL “FACTORING” COME  “EMPITIO REI SPERATAE” O COME “EMPTIO SPEI”

di Amedeo Nigra

 

1. Ipotesi di lavoro. - 2. La vendita di beni futuri  -3. Vendita di beni futuri come trasferimento  del diritto    al    profitto. - 4. Il    contratto    di factoring. - 5. Il  credito  come  bene  futuro. - 6. Il factoring come “emptio  spei”  o  “emptio  rei speratae”. - 7 Vantaggi pratici.

 

1. Ipotesi di lavoro.

Il  contratto  definito  “emptio  rei speratae” è  uno  dei più  antichi  della  nostra esperienza  giuridica.  Vediamolo  in  breve,   in relazione alla figura giuridica del  “factoring” (1).

Nell'antichità era diffusa una particolare forma di vendita. l cacciatore cedeva la selvaggina o comunque gli animali uccisi o catturati. Lo stesso faceva il pescatore o l'agricoltore con   riferimento  alla specifica attività da loro svolta. Il contratto era concluso prima che quella data attività di lavoro (caccia, pesca,  coltivazione) fosse  compiuta e, di conseguenza, il contratto aveva un contenuto  di incertezza. Si sapeva che l'attività sarebbe stata compiuta e si sapeva anche che ragionevolmente vi sarebbe stato  un  dato  risultato  utile. Questo risultato non era  peraltro certo. Nell'evenienza in cui  non vi  fosse  stato risultato  utile,  il compratore non avrebbe dovuto pagare alcun prezzo. Al contrario, il  corrispettivo  avrebbe  dovuto essere  pagato  solo  in  presenza  dell'effettiva esistenza della  cosa sperata.  Simmetricamente  a tale tipo di vendita ne fu prevista una seconda di carattere aleatorio. Questo secondo negozio  venne definito “emptio spei”, ossia,cessione di  alea, proprio perché  la  vendita sarebbe  stata  valida anche  in  assenza   del  risultato  sperato. In pratica, il corrispettivo  della vendita avrebbe dovuto essere pagato  anche se la  cosa non  fosse venuta ad esistenza.

Veniamo  ora  ai   giorni  nostri   ed esaminiamo la logica degli affari. Può un  dato imprenditore    cedere  verso corrispettivo tutto  o  parte del  suo  fatturato? Questa forma  di cessione  può essere  definita  e regolata  come  “emptio  rei  speratae”  o  come “emptio spei”?

Esaminiamo di  seguito questa  ipotesi di lavoro nel tentativo di dare un contributo allo studio di questa materia. Come vedremo tra  breve il contratto di factoring può essere assimilato  a seconda dei  casi, alla “emptio  spei” o  alla “emptio rei speratae”. Vediamo come.

 

2. La vendita di beni futuri.

Secondo la  dottrina più  recente  per beni futuri  si deve  intendere: 1) le cose  che  in genere non  sono ancora  in natura; 2) le  cose  già esistenti, non ancora occupate, ma suscettibili di occupazione; 3) i prodotti non ancora formati nella loro individualità  economica; 4)  i  prodotti  non ancora staccati dalla cosa madre; 5) le  prestazioni ed i  beni  che  comunque  derivano  in  un  tempo futuro.

Ed  invero, solo i beni presenti possono formare oggetto del diritto di  proprietà. Pertanto per la categoria  dei beni futuri  questo diritto non è concepibile, non essendo concepibile un potere  immediato  su  di  una cosa  che  non esiste .Dei beni futuri si può peraltro disporre, perché questi  beni possono formare oggetto  di contratto  ai  sensi  dell'art. 1348  c.c. ed,  in particolare,potranno formare oggetto di  donazione e di vendita,  secondo le  modalità stabilite  dal legislatore agli art. 771  e 1472 c.c.. In  pratica, pur non  essendo esistenti,  i beni  futuri vengono considerati da  parte  dell'ordinamento  giuridico come attuali e “disponibili”.

In tema di beni futuri si rilevano non pochi problemi. In merito  ai frutti, ad  esempio, ci si chiede come avvenga la trasformazione del diritto di godimento sulla cosa madre in diritto di proprietà sui  frutti  che, prima del distacco, appartengono al proprietario (art. 820-821 c.c. 1472 c.c). Per dare una  spiegazione a questo problema la dottrina normalmente ricorre alla figura della ficta traditio del proprietario, nei confronti dell'avente diritto al godimento sulla cosa madre. Senonchè questa figura risulta scarsamente convincente per il fatto che la figura  richiamata Š, per sua  stessa definizione, una finzione  che non trova riscontro in nessuna norma di legge. Per spiegare il problema descritto sembra invece necessario far risalire  l'acquisto dei frutti  ad un diritto diverso tanto dal diritto di  proprietà tanto dal diritto di godimento sulla cosa  madre. Vediamo perché.

Ed invero, il diritto sui frutti é  in origine  ricompreso  nel  diritto  di   proprietà, giacché  il  proprietario  ai  sensi   dell'art. 832 c.c ha  appunto  il   diritto  di   godere  e  di disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo.  Il diritto ai frutti è peraltro distinto dal diritto di proprietà  poiché  il proprietario  se  ne  può spogliare quando trasferisce  ad altri il  diritto di godimento, senza peraltro  perdere questa  sua qualità. E' infine distinto  anche dal diritto  di godimento  perché il   titolare   di   quest'ultimo diritto se ne può spogliare con un atto dispositivo previsto dall'art. 1348 c.c., senza   a sua  volta perdere la  qualità  di  titolare  del  più  ampio diritto di godimento.

Orbene,  anche  in  questo  caso  la fattispecie può  essere spiegata solo  ammettendo l'esistenza di un  diritto soggettivo sui  frutti. Non  si  spiegherebbe altrimenti  la  ragione giuridica  della  tutela  risarcitoria   accordata all'usufruttuario con riferimento  a  dei  beni-  i frutti appunto - che dal punto di vista giuridico, prima della  loro  maturazione  si  trovano  nella sfera giuridica del  proprietario, ossia  di  un soggetto  totalmente  diverso.  Ugualmente,   solo ammettendo l'esistenza di un diritto sui frutti si può spiegare come il  proprietario ed il  titolare del diritto  di  godimento possano  trasferire  ad altri questo  bene senza  rinunciare alla  propria qualifica giuridica.

Orbene,  vista  la  disponibilità  dei frutti e dei beni futuri e la loro tutela da parte della legge, si può  giungere alla definizione  di un diritto specifico.  In pratica questo  diritto può essere definito come “diritto al  profitto”. E precisamente: “il diritto al profitto è il  diritto di  godere  e  di  disporre,  secondo  un   ordine oggettivo, dei beni  futuri non  ancora venuti  ad esistenza e di ottenere dai terzi un comportamento di rispetto quanto ai beni medesimi”.

Se si  ammette l'esistenza  di  questo diritto si può dare  una ulteriore spiegazione  al tema dell'acquisto dei frutti. Questi,infatti,non fanno capo necessariamente al proprietario,m ma, a seconda  dei  casi,  competeranno  a  chi  risulta titolare del  diritto al  profitto su  quel  dato bene  (proprietario,  usufruttuario,   conduttore, acquirente).

 

 

3. Vendita di beni futuri come trasferimento del diritto al profitto.

La vendita di cose future è definita dall'art. 1472  c.c.  secondo il  quale  “nella vendita  che  ha  per oggetto una cosa futura l'acquisto della proprietà si verifica non  appena la  cosa  viene  ad esistenza”. Sono state formulate diverse teorie  volte a spiegare  questo particolare problema. Vediamole in breve.

La vendita  di  beni  futuri è stata anzitutto definita come un negozio incompleto,  in quanto privo di un suo  elemento essenziale. Si  è parlato anche di negozio con effetti sospesi o  di negozio in  attesa  di un  suo  coelemento.  Si  è infine definito  il contratto  in parola  come  un negozio sottoposto  a condizione  legale.  Secondo questo modo di  vedere la vendita  di beni  futuri sarebbe  una  vendita   obbligatoria  in  cui   il trasferimento delle  proprietà si  verifica in  un momento  successivo  rispetto  alla  stipula   del contratto  e  dove,  medio  tempore, il  compratore assume  la  veste  di  creditore. Questa stessa dottrina avverte peraltro come rimanga da chiarire se  il successivo trasferimento sia effetto dell'adempimento dell'obbligazione o se sia invece ricollegabile ad un fatto oggettivo.

Ed invero, l'acquisto  del diritto  di proprietà  rimandato  ad  un  momento  futuro  non appare un fatto di per sé idoneo a qualificare la vendita come “vendita futura” né come “vendita obbligatoria”,  perché  il  trasferimento  di  un diritto di proprietà non è l'unico oggetto che  si può dare al contratto  di compravendita. Ai  sensi dell'art. 1470 c.c.,  infatti, “la  vendita è  il contratto che  ha  per  oggetto  il  trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento  di altro diritto verso il corrispettivo di un  prezzo”. Se pertanto,  all'atto della stipulazione  del contratto in  parola  relativamente  ad  una  cosa futura, qualificato  ad ogni  effetto dalla  legge come  “vendita”, si  rivela la mancanza del trasferimento immediato di un diritto di proprietà, questo potrà  significare  che  ci si trova nella seconda ipotesi considerata  dall'art. 1470  c.c..  Nel  caso  vi  sarà pertanto il trasferimento  di   un   diritto   diverso   dalla proprietà ed avente ad oggetto  la cosa futura  ed il potere giuridico su di essa.

Quest'ordine di idee è stato in  parte peraltro formulato. La giurisprudenza ha assegnato al  compratore  uno  jus   ad  habendam  rem. La giurisprudenza ha infatti individuato la necessità di  qualificare la posizione  giuridica del compratore  come  quella corrispondente ad un diritto   soggettivo. Ha  inoltre  rinvenuto l'esigenza  di   riferirla alla cosa  futura. Peraltro, non  essendo  questa  ancora  venuta  ad esistenza, ha dovuto qualificare questa posizione giuridica in modo diverso dal diritto di proprietà e l'ha definita con la formula sopra ricordata e, cioè, come jus ad habendam rem.

Ciò  premesso,  la  vendita  di   beni futuri può apparire proprio come la cessione dello jus ad  habendam rem.  Da parte  sua  quest'ultimo diritto è appunto il diritto sul bene futuro ossia quel diritto che poc'anzi abbiamo chiamato diritto al profitto. Quando la cosa verrà ad esistenza prenderà contemporaneamente  vita  un  diritto  di proprietà, che si sostituirà al precedente diritto al profitto in  capo al  titolare di  quest'ultimo diritto.

 

4. Il contratto di factoring.

Nel  factoring   una  parte   (factor) acquista da  un imprenditore  un certo  numero  di crediti   per   un   certo   periodo   di   tempo. Normalmente, il tasso  di commissione varia  dallo 0,75 al 3% in relazione a numerosi elementi, quali il fatturato previsto, la ripartizione  geografica del clienti,  il numero  e l'importo  medio  delle fatture, la durata delle dilazioni, la qualità dei crediti ceduti, il  settore di attività  economica dell'impresa, eccetera.

Il “factor” si può riservare o no il diritto  di  accettare  determinati  crediti.  Nel primo caso si   assume anche il  rischio dell'insolvenza del debitori ceduti (pro  soluto), nel secondo caso la cessione è pro solvendo. La  cessione  avviene al valore  nominale del credito, meno  una  commissione per l'attività (contabilizzazione, incasso, ecc.) ed il rischio del factor. L'accredito al cedente può avvenire in tempi diversi. Sulla  struttura  del contratto in questione vi sono essenzialmente quattro opinioni. Secondo alcuni  si  tratterebbe  di  una  cessione  (unica) di crediti futuri (con la conseguenza  che i  crediti  al  loro  sorgere  si  trasferirebbero automaticamente al factor),  secondo altri, di  un contratto preliminare  con il  quale l'impresa  si obbliga ad offrire al factor in cessione i crediti che  sorgeranno,  (il  che  richiederebbe  poi  il perfezionamento  di  tanti  futuri  contratti   di cessione). Secondo altri ancora si tratterebbe  di un contratto atipico, in cui intervengono  diverse figure negoziali ed, infine, per altri autori,  il factoring  andrebbe  inserito  nei  contratti   di collaborazione.

Vediamo   ora    se   sia    possibile qualificare il  factoring  come  vendita  di  beni futuri (nelle  due  forme di  “emptio  spei”  ed “emptio rei  speratae”).  In  questa  operazione risulta  preliminare  osservare   la  natura   del credito in  sé  e  per  sé  considerata,  per  poi passare alla qualificazione giuridica del  negozio che svolge la  funzione di  trasferimento di  tale entità.

 

5.  Il credito come bene futuro.

Ed invero, il credito rientra a  pieno titolo nella categoria dei beni futuri. Si tratta infatti di una utilità che  deriva all'uomo in  un momento  futuro  rispetto  al   tempo  in  cui  è considerata. Molte volte  il concetto di  credito, di bene futuro e di frutto sono anche  coesistenti nella lettera del  codice civile.  I canoni  delle locazioni  e  gli   interessi  sui  capitali,   ad esempio, sono un  frutto per espressa  definizione legislativa, se si considera il bene  in sé e  per sé (art. 821 c.c.) ed, al tempo stesso, sono anche un credito,  se  si prende  in  considerazione  il contratto di locazione o il contratto di mutuo  da cui traggono rispettivamente origine.

Ciò premesso, si possono rilevare  due diritti,  tra   loro   ben  distinti   (anche  se correlati) in capo al “credito” inteso come bene futuro. Da un lato esiste  il diritto di  credito, in sé e per sé considerato, (di natura  relativa), come  potere  di  esigere  una  data   prestazione rispetto  ad   un  determinato soggetto (detto debitore). Dall'altro  lato,  esiste  invece   il diritto al profitto, di natura assoluta, (che si è poc'anzi descritto) e che  consiste nel potere  di disposizione e  di protezione  di quel  dato  bene futuro, rispetto ai terzi  (e cioè, nei  confronti di ogni soggetto).

Orbene in tema di  factoring (e  cioè nella definizione  del  contratto) si prende in considerazione il  credito come  bene futuro e la capacità  di  disporre nei confronti di ogni soggetto  (terzo rispetto al rapporto obbligatorio). Il rapporto obbligatorio, da  parte sua, costituisce invece un semplice antecedente al factoring e viene in considerazione (oltre che per casi patologici), solamente  per un  problema  di efficacia del negozio di cessione nell'ambito del rapporto di natura relativa.

D'altra  parte, il  “credito  bene futuro” (cui fa capo un  diritto assoluto) ed  il credito come  rapporto  (cui fa capo un  diritto relativo) risultano  ben distinti,  anche in  base alle  rispettive  vicende giuridiche. Il  bene futuro,  infatti, può essere ceduto in sé, indipendentemente dalle vicende del rapporto (art. 1472 c.c.)  ed in  base ad  una norma  diversa  da quella in cui  si fonda il  rapporto (art.  1348). Per convincersene basta considerare che il credito può essere validamente  ceduto, persino quando  il rapporto  obbligatorio   non  sia stato   ancora costituito. Una  data  azienda,  ad  esempio,  può disporre  la  cessione  del  suo  fatturato  prima ancora  di  concludere  materialmente  i   singoli contratti con i propri clienti.

In conclusione, conviene  sottolineare il fatto che la cessione del credito come bene  in sé considerato è cosa ben distinta dalla  cessione del rapporto. In  questa sede (e  cioè in tema  di factoring) si  esamina  solo la  prima  delle  due figure ossia il  trasferimento del “credito  bene futuro”.

 

6. Il factoring come “emptio spei” o “emptio rei speratae”.

Posti  in   chiaro   i   rilievi   che  precedono, possiamo ora  qualificare il  contratto di “factoring” come negozio  di vendita di  beni futuri, di  cui all'art.  1472 c.c..  A favore  di questa  tesi   esistono  due   decisive   ragioni. Vediamole in breve.

Il primo  rilievo  riguarda l'oggetto del contratto. Nel  factoring vengono ceduti  beni futuri, non  diversamente  da quanto  attiene  nel negozio di cui all'articolo 1472 c.c.. Conseguentemente vi è  una piena  identità tra  le due figure. Il secondo rilievo riguarda invece  il potere giuridico che viene in considerazione.  Con il  contratto  di  factoring  infatti  non   viene esercitato  il  diritto  di  credito  in  sé,   ma piuttosto viene esercitato il potere di disposizione della prestazione futura. Il rapporto giuridico rimane invariato e viene  semplicemente trasferito ad altri il bene futuro.

Per avversare  questa  spiegazione  si potrebbe  obbiettare   come   nel   factoring   il trasferimento  del  credito  possa  avere   natura continuativa, con riferimento  ad un certo  numero di rapporti creditori (in modo abituale o meno)  o con riferimento ad uno o più determinati debitori. Senonché, il rilievo non pare decisivo per  negare la qualificazione del factoring come contratto  di vendita di beni futuri. Con  esso si può  definire in modo  vario ed  alterno  la natura  o  l'entità dell'oggetto del  negozio,  ma non  certo  la  sua struttura. Nulla vieta, infatti, che la vendita di beni futuri riguardi un singolo bene, oppure due o più beni. Nel caso resterà ferma la qualificazione strutturale  del  contratto,  mentre   l'autonomia varierà nel determinare l'ampiezza dell'oggetto.

Altre  volte si sostiene che il factoring si sostanzierebbe  in  un  rapporto  di collaborazione, più  che in  una cessione  vera  e propria. Senonché  anche questo  rilievo non  pare decisivo. Anzi,  tutti  i contratti  prevedono  la collaborazione delle  parti,  ma questo  non  muta certo la loro radicale struttura. Nel nostro caso, si  tratta  di  vedere  da  caso  a  caso  se   la collaborazione abbia natura prevalente oppure  dia luogo ad un semplice “accessorio” alla  cessione del credito.  In  base  alle  specifiche  indagini condotte  nel  caso  concreto,  alla  luce   della volontà delle parti,  si potrà dire  se vi sia  un negozio  di  cessione,  oppure  un  contratto   di collaborazione.

 

7. Vantaggi pratici.

Il primo  vantaggio  che potrebbe  derivare  dalla qualificazione  del  factoring  come  negozio   di cessione di beni futuri appare evidente. Con  tale figura è possibile dare uno stato giuridico ed una disciplina al contratto  di factoring. Qualora  si accolga la conclusione in esame, infatti, si potrà assegnare al negozio in parola l'intera disciplina della vendita (1470 ss. c.c.).

Non solo. L'inquadramento  nell'ambito della  vendita  di  beni  futuri  offre   numerosi vantaggi. In  particolare,  l'articolo  1472  c.c. offre precise scelte ai  contraenti. Vi è infatti la possibilità  di  concludere  un  contratto  che resti valido solo se il bene venga  effettivamente ad  esistenza   (emptio  rei   speratae)  ed,   al contrario, vi è  la possibilità  di concludere  un contratto aleatorio,  in cui  il negozio  mantenga valore anche  nel caso  in cui  il bene  (credito) manchi del  tutto (emptio  spei). Le  due  ipotesi corrispondono  perfettamente   ai  due   tipi   di cessione del credito e, cioè, alla cessione  “pro solvendo” in cui  il cedente è  liberato solo  in caso di effettivo pagamento del debitore ceduto ed alla cessione “pro  soluto” in  cui, invece,  il cessionario vi assume ogni rischio di  insolvenza, liberando definitivamente il cedente.

Anche  il  tema  della  efficacia  del factoring  nei  confronti del  debitore   ceduto potrebbe avere  una  radicale modifica alla  luce della disciplina della  vendita ed in  particolare della  vendita  su  documenti  (art.  1527  c.c.). Questa particolare disciplina prevede infatti  che una parte si liberi dei propri obblighi rimettendo un titolo rappresentativo  della merce (art. 1527 c.c.), titolo, ques'ultimo, che potrà circolare liberamente  mediante girata secondo  l'articolo 1792 c.c..

 

Peraltro,  anche   a  prescindere   dal ricorso  o  meno  alla  figura  della  vendita  su documenti, i  vantaggi  della  qualificazione  del factoring non sono pochi e vanno dalla  disciplina della garanzia per vizi  della cosa venduta,  fino alla compiuta  descrizione  degli  obblighi  delle parti. E  questo  pare un  ulteriore  argomento  a favore della  qualificazione  del  factoring  come vendita di beni futuri.

 


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Omologa Tribunale di Milano: numero 4074

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