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2 Luglio 2004

INTERVENTI

Letto per Voi da:

TABLOID

Periodico dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia

N. 1 Gennaio 2002

 

Censurabile soltanto l’intervista simulata

di Aldo Bonomo, avvocato in Milano

 

Le Sezioni Unite della Cassazione prendono in esame i due diversi orientamenti della giurisprudenza, sul tema dell’esimente da intervista.

Primo orientamento.

L’obbligo di verità cui è tenuto il giornalista - intervistatore, riguarda la verità della dichiarazione (cioè la fedele rispondenza dell’articolo al pensiero o alle espressioni dell’intervistato); non la verità del contenuto della dichiarazione. Di conseguenza il giornalista non è responsabile di quanto dichiarato dall’intervistato se si limita a riferire fedelmente la dichiarazione, anche se questa risulta diffamatoria a danno di terzi (l’interesse pubblico all’informazione, infatti, prevale sulla tutela della reputazione individuale).

Secondo orientamento.

L’obbligo della verità non riguarda soltanto il fatto stesso della dichiarazione, ma si estende al contenuto della dichiarazione. Infatti, l’intervistatore, guidando il discorso e provocando le risposte, contribuisce a creare l’evento: l’intervista è un mezzo tipico ed immediato dell’attività giornalistica.

Le Sezioni Unite rifiutano le generalizzazioni. E’ compito del Giudice di merito distinguere tra:

intervista - evento, in relazione al quale il giornalista è un terzo osservatore che esercita il diritto - dovere di informare i lettori dell’evento (cosicché non assume responsabilità concorrente, qualora la dichiarazione dell’intervistato risulti diffamatoria); e

intervista quale particolare forma di giornalismo, in relazione alla quale il giornalista è il dissimulato coautore della dichiarazione resa dall’intervistato.

Ai fini della distinzione il giudice di merito dovrà valutare la qualità dei soggetti coinvolti, la materia di discussione, l’interesse pubblico all’informazione. La dichiarazione di un soggetto, che rivesta importanti cariche pubbliche può essere in sé un evento, tale da renderne doverosa la narrazione, anche in presenza di espressioni denigratorie in danno di terzi.

Il giornalista non può venire meno a tale dovere senza arrogarsi un potere di censura.

In conclusione, la verifica di verità è limitata all’aspetto ontologico della notizia (Tizio ha veramente reso questa dichiarazione) solo quando essa proviene da una persona di notevole rilievo, non tanto per l’affidamento di veridicità presumibile, quanto per il livello dell’interesse pubblico alla pubblicazione.

Si estende, invece, all’aspetto logico della notizia (la dichiarazione di Tizio risponde all’accaduto) in ogni altro caso.

In sostanza, lo stesso termine di intervista può essere bivalente. Spesso l’intervista è pura simulazione. Ma ciò avviene non solo quando l’intervistatore conduce il gioco, provocando e suggerendo le risposte, ma anche quando l’iniziativa è assunta dall’intervistato, che si avvale del giornalista per dare vivacità e risonanza al discorso.

Diversa (e forse in pratica meno frequente) è l’ipotesi dell’intervista - evento, ravvisabile nei casi di esternazione proveniente da soggetti in posizione alquanto elevata e oggettivamente di una certa importanza.

Non è facile, in ogni caso, la posizione del giornalista che dovrà scegliere fra l’assunzione di un rischio (facendo pubblicare l’intervista), e il venire meno ad un dovere professionale (censurando la dichiarazione).

Allo scrivente sembra che sia inesigibile dal giornalista la valutazione in ordine all’effettivo grado di rilevanza dell’evento - dichiarazione; e che la distinzione prospettata dalle Sezioni Unite debba essere portata all’estremo, in modo che la responsabilità del giornalista - intervistatore sia da escludere in linea di principio, e possa essere affermata soltanto nel caso limite di un’intervista simulata, intesa a dissimulare un libello scritto a quattro mani.

 

 

 

 

 

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